(n. 91/2022) Luca ha 17 anni e vive per l'atletica leggera. Il suo futuro lo immagina in pista, a misurarsi con cronometro e avversari. Si sottopone alla valutazione medico sportiva finalizzata alla concessione dell'idoneità sportiva, ma l'esito della visita è inesorabile: la diagnosi è cardiomiopatia genetica con alto rischio di morte improvvisa durante uno sforzo. Si tratta della stessa malattia che ha causato la prematura scomparsa di molti grandissimi atleti. Luca è costretto a dire addio all’atletica leggera e al futuro che aveva immaginato per sé stesso. È disperato e deluso. In un attimo ha visto tutti i sui sogni frantumarsi di fronte a una diagnosi di malattia cardiaca. Non riesce a comprendere, almeno in quel momento, che gli è stata salvata la vita.
La storia di Luca non è, purtroppo, isolata e proprio per dare una risposta ai giovani aspiranti atleti che vedono nello sport una ragione di vita cui viene diagnosticata una malattia cardiaca grave che l’Unità Operativa Complessa di Medicina dello Sport dell’Ulss 2, diretta dal dr Patrizio Sarto, ha realizzato il progetto “Il secondo tempo di Julian Ross”. A spiegare l’iniziativa, alla vigilia della Giornata Mondiale dello Sport del 6 aprile , il dr Sarto: “Abbiamo dato al progetto il nome di un celebre personaggio del manga giapponese Capitan Tsubasa (in Italia più conosciuto come Holly e Benji), creato da Yoichi Takahashi. Anche Julian Ross, come molti ragazzi che vediamo, si trova a un certo punto a vivere il conflitto tra la diagnosi di una malattia cardiaca e la voglia di continuare a giocare a calcio. È a queste situazioni che il nostro progetto vuole dare una risposta, garantendo la presa in carico di chi, da un giorno all’altro, da atleta si ritrova a essere un paziente affetto da cardiomiopatia su base genetica o da cardiopatia congenita. Alla diagnosi – illustra Sarto - segue un percorso approfondito, che molto spesso vede coinvolti anche i genitori degli atleti più giovani. La finalità è quella di “riattivare” l’atleta-paziente in piena autonomia o in una delle Palestre della Salute del territorio, attraverso un preciso programma di allenamento personalizzato”.
L’obiettivo è evitare di “abbandonare” sportivi più o meno giovani che, in seguito allo screening di valutazione medico-sportiva, sono costretti a misurarsi con la diagnosi di una malattia cardiaca grave che può anche essere causa di morte improvvisa da sforzo.
“Ad oggi sono più di 40 gli atleti-pazienti arruolati nel programma e più di 60 i genitori che è stato necessario sottoporre a screening per arrivare alla definizione di tale patologia - commenta il dr Sarto -. Un drastico cambiamento, una comunicazione difficile da accettare, una sospensione dell’agonismo puro. Tuttavia, già nell’“intervallo” gli atleti-pazienti, in una fase così delicata, sono presi in carico e seguiti passo dopo passo nel nuovo percorso, dedicato a individuare l’attività fisica più adatta a loro. Dopo l'approfondita fase diagnostica si procede con una valutazione funzionale necessaria alla definizione del programma di allenamento ad hoc che viene iniziato direttamente nella palestra della Medicina dello Sport del Dipartimento di Prevenzione. A questo punto può cominciare il “secondo tempo”: cuori in movimento, ancora in campo, comunque”.
Il progetto non tralascia le implicazioni psico-sociali che la diagnosi innesca: viene infatti attivato il percorso di sostegno psicologico esteso alla famiglia, dato che in molti casi clinici la patologia cardiologica è associata al trasferimento di un’alterazione genetica da parte di un genitore. Ancora, il progetto prevede un corso di BLS (Basic Life Support), dedicato ai familiari, in collaborazione con il 118 Suem Treviso, che insegna a fronteggiare le emergenze, compresa l’eventualità di un arresto cardiaco. Scopo del progetto anche quello di sensibilizzare, attraverso diverse forme di comunicazione, la comunità su un tema così delicato che può rivoluzionare la vita di uno sportivo.