(n. 147/2025) Otto giovani atleti e atlete trevigiani affetti da sindrome del QT lungo, età media di 15 anni, hanno potuto riprendere l’attività agonistica in sicurezza grazie a un innovativo programma di valutazione e monitoraggio clinico, attivato dal Centro Regionale di Medicina dello Sport di Treviso: è un risultato senza precedenti in Italia per chi è affetto da questa rara malattia genetica del cuore, che fino a pochi anni fa obbligava all’abbandono definitivo dell’attività agonistica.
La sindrome del QT lungo (LQTS) colpisce circa una persona ogni 2.000 ed è caratterizzata da un’alterazione del sistema elettrico del cuore, che può provocare aritmie gravi, svenimenti o, nei casi più severi, morte improvvisa. Ne esistono tre forme principali:
• LQTS tipo 1, in cui le alterazioni elettriche compaiono prevalentemente durante lo sforzo fisico;
• LQTS tipo 2 e tipo 3, più frequenti e spesso scatenate da emozioni o stress improvvisi.
La diagnosi è spesso complessa: molte persone, in particolare giovani donne, possono presentare un elettrocardiogramma normale a riposo, rendendo difficile riconoscere precocemente la malattia.
Il gruppo di lavoro del Centro regionale della Medicina dello Sport dell’Ulss 2 ha recentemente contribuito a una scoperta innovativa nell’ambito di questa subdola patologia: l’individuazione di un nuovo parametro elettrocardiografico, la cosiddetta “TP-fusion”, ossia la fusione tra l’onda T e l’onda P durante l’esercizio fisico. Questa alterazione, identificata per la prima volta dal Centro di Treviso e successivamente confermata in collaborazione con il prof. Peter Schwartz e il suo team di Milano, è stata pubblicata su una rivista scientifica europea di cardiologia, ricevendo ampio riconoscimento nazionale e internazionale. A partire da questa esperienza il Centro ha avviato nuovi protocolli di valutazione e monitoraggio per i giovani con LQTS anche grazie alla revisione del protocollo cardiologico che in Italia detta le indicazioni alla ripresa sportiva nei giovani con patologia cardiaca. In pazienti selezionati e ben consapevoli delle loro patologie, in particolare con forme lievi, terapia correttamente seguita e stabilità dei parametri elettrici, è stato possibile rivalutare l’idoneità sportiva agonistica. Grazie a criteri rigorosi a una sorveglianza clinica intensiva, otto giovani atleti e atlete (5 ragazze e 3 ragazzi) hanno potuto riprendere a praticare sport in sicurezza, entrando in un programma di osservazione continuativa coordinato dal Centro di Treviso. Il progetto è stato selezionato tra le migliori ricerche scientifiche presentate al Congresso Nazionale di Cardiologia dello Sport di Carpi, ottenendo un importante riconoscimento per l’innovazione clinica e il valore umano del lavoro.
Lo studio dell’équipe dell’Ulss 2 rappresenta un passo importante nell’ambito della Medicina dello sport e nella Cardiologia delle malattie rare, confermando il ruolo del Centro Regionale di Medicina dello Sport di Treviso come punto di riferimento nazionale per la valutazione, la tutela e la ripresa dell’attività fisica nei giovani con cardiopatie genetiche.